Robivecchi.
Colui che, con bottega o ambulante, comprava e vendeva oggetti usati e vecchi. Era mestiere praticato a Roma fin dal secolo XVII. La tabella Remondini* sotto la figura del venditore ambulante annota: “Io mangio e bevo, e mi vivo in sollazzi – Comprando vetro rotto, ferri e strazzi”.
Faceva anche dei cambi: lui dava utensili per cucina nuovi. Il suo grido era: “Roba vecchia!”. Oppure: “Robivecchi!”. Generalmente era ebreo. Papa Paolo IV e papa Gregorio XVIII emanarono delle bolle con le quali si proibiva di dare del signore agli ebrei e similmente di esercitare ogni arte eccetto lo Stracciarolo. Gherardo Ferreri (1925) ricorda “i vecchi ebrei raccoglitori di roba fuori uso, sudici e strappati, con un sacco sulle spalle ed un oggetto inservibile nella mano tenuta avanti la bocca a guisa di portavoce”. Ettore Petrolini, il grande comico satirico e tragico romanesco, amava i robivecchi perché aveva un debole per le cose antiche.
Scrive Massimo Grillandi (1974) che “il robivecchio, e il suo carretto malandato o il furgoncino tenuto con lo spago, mettono una nota patetica nelle vie romane. Eppure il vuotacantine è commercio tra i più ricchi, perché ha un piede fra i mercanti di rottami come gli antiquari”. Ed ancora: “I robivecchi, temuti dai bambini, una volta almeno (se non mangi, ti faccio portare via dallo stracciarolo!) sono quasi tutti romani, e hanno il loro quartiere generale a Porta Portese”. Mercato che, com’è noto, è stato ed è tuttora il regno dei robivecchi con oggetti di qualsiasi genere, tra i più impensati ed impensabili.
Stracciarolo.
(Anche Cenciaiuolo). Colui che infaticabilmente, dalla mattina al tramonto, percorreva – quasi sempre spingendo un piccolo carrettino a mano, con due ruote e due stanghe – le strade di Roma, alla ricerca di chi volesse disfarsi di indumenti e di altri oggetti prossimi ad essere gettati via. Naturalmente, in queste condizioni, chi li vendeva ne ricavava poco o pochissimo. L’abilità dello stracciarolo stava nel selezionare – in un magazzino buio se non in una cantina – tutto ciò che egli comprava in modo da poter rivendere il materiale (lana, cotone, ferro, cuoio, piombo, ecc.) in blocco a chi lo riutilizzava. In definitiva, la tecnica dello stracciarolo, che rivendeva anche qualche oggetto che aveva acquistato, consisteva nel mostrare a chi voleva vendere quanto fosse rovinata ed inutile la roba che lui era disposto a comprare – quasi per piacere al cliente – a vilissimo prezzo e quanto fosse quasi nuova ed utilizzabile la roba che lui, quasi a malincuore, era disposto a vendere ad un prezzo di usato: onesto, ma di indubbio guadagno per lui. Gli stracciaroli erano parenti stretti dei rivenduoli ed avevano tra loro amicizia tanto che difficilmente si distinguevano gli uni dagli altri. La tabella Remondini (sec. XVII), sotto la figura dello Stracciarolo, annota: “Cerca il giudeo carico di straccietti – Sfamarsi con ciavatte e ferri vecchi”. Successivamente (1860) il suo grido era: “Stracci, chi ha ferracci!” oppure: “Lo stracciaro!” anche: “Stracci, ferracci, chi ha scarpacce!”.
*I Remondini furono una famiglia di stampatori che operarono a Bassano del Grappa da metà del XVII a metà del XIX secolo.
Documentazione ripresa da Antichi mestieri di Roma: un viaggio affascinante nel cuore della città tra artigiani, botteghe e venditori ambulanti alla riscoperta di curiosità, segreti e ambienti caratteristici di una vita urbana in gran parte scomparsa, Mario La Stella, Roma, Newton Compton, 1982
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