(Anche Biferaro). Di solito, si diceva pifferari perché erano almeno in due. Il più vecchio suonava la zampogna o cornamusa; il più giovane suonava il piffero o cennamella e se ce n’era un terzo, questo cantava brevi canzoni o strofette, quasi sempre inintellegibili, per la novena di Natale dinanzi alle immagini della Madonna che si trovavano per le strade di Roma o di quelle che erano dentro case e botteghe. Vestivano un pittoresco e caratteristico costume abruzzese, molto simile a quello dei briganti: mantello, cappello a pan di zucchero e “cioce” ai piedi. Ai primi di dicembre, questi montanari scendevano a Roma in vista delle feste di Natale, di cui loro erano parte integrante ed interessata, provenienti dalla Ciociaria dagli Abruzzi dove ritornavano quindici giorni dopo Natale. I pifferari, che potevano entrare e soggiornare a Roma (1800) soltanto con autorizzazione della polizia, erano talmente inseriti nella tradizione che, quando si dovettero chiudere i confini con il Regno di Napoli (1836) a causa dell’epidemia di colera, Gioacchino Belli scrisse: “E a mè me pare che nun sii novena, si nun sento sonà li piferari”.
I pifferari ricevevano due “paoli” per una serenata di nove giorni, sera e mattina: era una novena. Tuttavia il Governo era pontificio ed allora qualcuno per mettersi al sicuro da una denuncia al parroco e tutti coloro che temevano di essere accusati di liberalismo, si abbonavano per due novene. Il guadagno dei pifferari poteva giungere fino a cento scudi, che costituiva il loro mezzo di sostentamento per tutto l’anno. I pifferari avevano però un grosso inconveniente: quello di incominciare a suonare troppo presto la mattina, o addirittura di notte, per poter fare più novene e quindi guadagnare di più.
Stendhal scriveva a tale proposito (1827): “Sono quindici giorni che i pifferari o suonatori di cornamusa, ci svegliano alle quattro del mattino. È gente capace di far odiare la musica”. Le proteste provocarono una ordinanza di papa Leone XII (1823 – 1829) con la quale si proibiva ai pifferari di suonare per le strade prima delle quattro del mattino. Nel novembre 1870, dopo la proclamazione di Roma capitale, venne proibito definitivamente ai pifferari di suonare per le strade. Un pifferaro chiese a Stendhal se credeva che Napoleone fosse morto veramente. Avuta la conferma, commentò: “Se avesse continuato a vincere, i nostri affari sarebbero stati rovinati”. Com’è noto, Napoleone non era amico della Chiesa.
Uno degli stornelli dei pifferai, non dedicato alla Madonna, era il seguente: “Fior di castagna — Venite ad abitare nella vigna, — Che siete una bellezza di campagna”. Le canzoni religiose – dice lo Zanazzo (1907) – mai nessuno è riuscito a capirle, tanto che i romani sostenevano che i pifferari cantassero così: “E quanto so’ minchioni ‘sti romani – Che danno da magnà a ‘sti villani”.
Documentazione ripresa da Antichi mestieri di Roma: un viaggio affascinante nel cuore della città tra artigiani, botteghe e venditori ambulanti alla riscoperta di curiosità, segreti e ambienti caratteristici di una vita urbana in gran parte scomparsa, Mario La Stella, Roma, Newton Compton, 1982
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Per approfondire:
https://www.romasparita.eu/storia-cultura/1940-antichi-mestieri-lo-zampognaro