Maestri Artigiani: intervista a Maria Di Benedetto


l'artigianoCresciamo nell’idea che l’arte sia un concetto da collegare ai lavori dei grandi pittori, degli scultori, o degli architetti famosi, ma in Italia esistono altre forme d’arte, di tradizione secolare, di cui viene ignorata l’importanza. Il tombolo rientra perfettamente in questa categoria, alimentato da un esercito di artisti e artiste che nei suoi 7 secoli di storia sono rimasti perlopiù ignoti.

Maria Di Benedetto, al contrario, gode di una fama tanto grande da averla condotta dal Molise a Roma, dalla Germania fino al Giappone. Ha dedicato la vita a quest’arte, creando un collezione senza tempo e battendosi indomita per la diffusione su larga scala di queste tecniche tradizionali. Una grande artista, una combattente, un’icona del saper fare, senza alcun dubbio tra i migliori esempi del Made in Rome.

Com’è nata questa passione per il tombolo?

la tecnica 1È nata quando avevo 5 anni e andavo con mia nonna ad Isernia. Vengo da una zona di alta montagna e ogni tanto con la nonna andavamo a trovare mia zia che viveva lì. Abitava in una zona ricca di vicoletti, talmente stretti che si potevano toccare i muri delle case semplicemente allargando le braccia. Quei vicoli in cui il sole non batteva mai, erano popolati dalle signore che scendevano in strada per fare il tombolo. C’erano donne anche sui balconcini e alle finestre. Però io non andavo a vedere le signore lavorare, non mi interessava ancora, mi sedevo in piazza e rimanevo lì in silenzio. I fuselli quando vengono toccati producono una musica particolare, e dato che all’epoca venivano prodotti in casa con legni ogni volta differenti, ogni signora produceva le sue sinfonie. Queste musiche riempivano tutti i vicoli, camminavano, risalivano fino in piazza e per me era come assistere ad un concerto. Per questo mi sono innamorata del tombolo.

Iniziai a chiedere a mia nonna di insegnarmi la tecnica, ma lei era restia, diceva che ero troppo piccola e che avrei dovuto aspettare ancora un po’. Ma io avevo fretta e non potevo aspettare. Allora un giorno andai da un anziano che tagliava la legna e mi feci dare un bel rocchetto. Me ne diede uno piccolo, di venti centimetri, così lo portai a casa e lo nascosi. Non avevo il permesso di  lavorare. Dopodiché presi dei chiodi da mio padre e della lana da mia madre, poi, sempre da mia madre, presi dei legnetti che usava per accendere la stufa e li spezzai per farne dei fuselli. Nonostante tutta la segretezza mi scoprirono ben presto, ma non fui punita, anzi, ottenni il permesso di imparare e, accanto a mia madre, rubai tutti gli insegnamenti necessari con gli occhi. Da lì sono partita e non ho più smesso.

il prodotto 1Quant’è difficile lavorare a tombolo?

Non è difficile, ci vuole pazienza. Per i lavori molto piccoli la difficoltà risiede nell’intreccio dei filari che devono seguire un disegno ben preciso. Un tempo il disegno era composto solo da puntini, ora si fanno anche le linee guida che rendono tutto più semplice. Ci vuole la lente d’ingrandimento alle volte, però l’intreccio di per se è semplicissimo, è l’intreccio della tessitura, c’è l’ordito e la trama, è sufficiente eseguire un movimento di base, il punto tela. Partendo da qui si può realizzare qualsiasi cosa.

Lei con il suo lavoro è riuscita a girare tutto il mondo, ottenendo ovunque riconoscimenti e grande stima. Qual è la situazione in Italia? Ci sono margini per sviluppare progetti a lungo termine?

Io giro ancora tutta Europa e faccio corsi di aggiornamento agli insegnanti, tutti docenti che insegnano il tombolo nelle scuole, da quelle elementari fino all’università. Ma in Italia è impossibile sviluppare qualcosa di simile, ad esempio, è una vita che chiedo di fare un museo senza ricevere mai una risposta positiva. Mancano sensibilità e rispetto. Ma io non mi arrendo e continuerò a lottare e chiedere di poter realizzare il mio sogno, sarò sempre una spina nel fianco. Ho ricevuto offerte per realizzare un museo dal Giappone, dalla Svizzera, dall’Austria, dalla Germania, dall’Olanda, ma non voglio portare via dall’Italia tutta la mia collezione, la raccolta di una vita, voglio tenerla qui e metterla a disposizione di tutti.

il prodotto 3Le sue parole dipingono un quadro preoccupante, anche se piuttosto tipico del nostro Paese. Dall’estero arrivano continue offerte di acquisto di collezioni nostrane mentre il patrimonio culturale italiano viene colpevolmente sacrificato per dare maggiore risalto ai grandi musei e ai grandi scavi archeologici. Il sacrificio di molti per il bene di pochi. Le Istituzioni si sono mai interessate alla sua proposta?

In Molise è stato realizzato un piccolo museo con dei miei oggetti, anzi, per essere precisi, composto solo dai miei oggetti. La cosa è particolarmente spiacevole perché in quelle zone si lavora il merletto in ogni casa, ma nessuno ha voluto donare neanche un piccolo pezzo. I pizzi migliori invece sono conservati nelle chiese. Storicamente la lavorazione a tombolo prevedeva una merlettaia, la ricamatrice e un disegnatore, sempre un uomo, dato che inizialmente erano proprio gli uomini a lavorare il tombolo. Nelle mie zone è rimasto un unico disegnatore che, come me, sta tentando di tramandare quest’arte, ad oggi senza successo. Abbiamo quindi tentato di coinvolgere le Istituzioni, abbiamo scritto a sindaci, abbiamo raccolto più di diecimila firme per aprire laboratori ma non solo non abbiamo ricevuto risposte positive, non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Bisognerebbe intervenire a livello scolastico per favorire la conoscenza di questo patrimonio culturale, è l’unica strada, ma al momento niente di tutto ciò è stato fatto.

Intervista a cura di Marco De Leo

Foto di Emanuela Pucci

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