Una nuova proposta di legge, da parte della Lega, per difendere il Made in Italy. I marchi storici saranno vietati per le aziende che decideranno di spostare la produzione all’estero. Il ministro dell’Interno: «È uno strumento di difesa delle aziende italiane»
«Se vuoi continuare a usare quel marchio storico, che è un valore aggiunto, devi mantenere la produzione in Italia». Matteo Salvini presenta alla Camera la norma per la tutela dei marchi italiani, con una proposta di legge per salvaguardare i marchi storici italiani, con oltre 50 anni. Insomma, un registro dei marchi come strumento contro le delocalizzazioni all’estero.
Primo firmatario della proposta è il capogruppo del partito alla Camera, Riccardo Molinari. L’idea – è stato spiegato, in conferenza stampa a Montecitorio – è di fare in modo che il marchio «diventi proprietà dello Stato» nel caso in cui, come avvenuto con la Pernigotti, l’azienda sia rilevata da un gruppo estero che proceda allo spostamento della produzione fuori dall’Italia.
«Spero che sia uno strumento di difesa del made in Italy e della aziende italiane», ha affermato il ministro dell’Interno, in conferenza stampa con Molinari, e la presidente della commissione Attività produttive, Barbara Saltamartini. «Sia il premier Conte che Di Maio sulla Pernigotti hanno fatto possibile e l’impossibile», ha detto.
«Vogliamo difendere con le unghie e coi denti le aziende italiane. Se vuoi farti il cioccolato in Turchia metti made in Turkey», ha aggiunto, ricordando poi la «battaglia della Lega per etichettatura obbligatoria in Ue che va vanti da dieci anni». «Ci sono regole europee che favoriscono i grandi e danneggiano i piccoli», ha sostenuto.
«È troppo tardi per la tutela dei marchi italiani? Sì, è troppo tardi – ha riconosciuto – ma noi siamo al governo da giugno. È stato fatto un enorme shopping sulle aziende italiane senza che i governi di sinistra battessero ciglio». Il caso Pernigotti, ha spiegato il piemontese Molinari, ha «manifestato il problema che oggi non ci siano strumenti per vietare le delocalizzazioni nonostante il Mise e Conte abbiano fatto il possibile: non c’è stato uno strumento politico».
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