Remington Olsted è un californiano che ha aperto un ritrovo per la gente del cinema. E ha lasciato tutto ai suoi dipendenti.
La prima volta che sono capitato dalle parti di Piazza De’ Mercanti a Roma non sapevo bene se crederci o meno. Dopo i consueti vicoli di Trastevere, dal lato del rione incredibilmente meno battuto dai turisti, si sbuca in una strana, deliziosa, piazzetta. A sinistra un ristorante dove aleggiano le fiammelle di antiche lampade a gas al cui interno si intravede una barca (sì, una barca), a destra il dehors di uno dei locali storici di questa città: Meo Patacca. In uno di quei palazzi ricoperti di edera, quelli che mi piace chiamare i palazzi con la barba. Ah, di fronte c’è pure la casa di Antonello Venditti, così per dire.
Meo Patacca è un’istituzione leggendaria qui a Roma. In tanti dicono che sia un locale per turisti, ma finché ti trovi all’esterno incute quel brivido di timore che ti fa pensare piuttosto a un ristorante con i camerieri in livrea. Non ci sono cartelli fuori che urlano OGGI CARCIOFI ALLA GIUDIAAAAA. Ci sono capitato per caso, all’ora di pranzo. Entrando ho avuto la sensazione di essere come in un museo: fotografie, lanterne come lampadari, vetrinette, stanze ovunque, statue che riprendono quelle romane e un carretto che se ne sta lì, in un angolo della sala. Una trattoria che può sembrare al primo colpo un ritrovo per turisti iper-kitsch, che nascondeva un segreto. Anzi due.
Ognuno dei soci ha una quota e ci autogestiamo: abbiamo fatto in modo di dividerci i compiti. C’è un direttore di sala, un gestore, un cameriere, un cuoco e, ovviamente, il presidente.
All’ingresso, un po’ defilata, si può vedere una targa che commemora il signor Remington Olmsted, “signore dell’arte”, nonché fondatore di quel ristorante. La prima domanda che mi è sorta è stata: per quale motivo un californiano di Pasadena ha aperto un ristorante kitsch a Trastevere? La seconda, dopo una mangiata di Rigatoni di Coda alla Vaccinara e un Carciofo alla Romana e una chiacchiera con la cameriera è stata: davvero???
Facciamo un passo indietro. Remington Olmsted era un californiano approdato a Roma per sfondare nel cinema. Dopo essere riuscito a entrare in qualche modo a Cinecittà, dove ha fatto la comparsa in film come Ben Hur, ha stretto amicizia con i più grandi divi degli anni ’50 e ’60. Nel frattempo ha pensato bene di sposare una ricca contessa, probabilmente conscio che non sarebbe mai riuscito a sfondare nel mondo del cinema. E, nel 1959 (quindi quest’anno si festeggia il 60esimo anniversario), apre in questa suggestiva piazzetta trasteverina non uno, ma tre locali.

Fonte foto: Munchies Italia
Ma è Meo Patacca il suo gioiellino, il posto che lui sente davvero suo. Meo Patacca, se non lo sapeste, è una maschera della Commedia dell’Arte romana. Tecnicamente nasce addirittura prima: Meo Patacca era uno sgherro romano, un ragazzo ardito che si è fiondato a Vienna nel 1683 per combattere i turchi e li ha pure sconfitti. Insomma è la maschera del giovane completamente pazzo, che non vede l’ora di fare rissa, ma ha un gran cuore.
Per conoscere al meglio la storia del ristorante Meo Patacca, sono andato un pomeriggio a fare qualche chiacchiera con i dipendenti del locale. Quindi con i proprietari. “Tecnicamente noi siamo una cooperativa”, mi dice Nicola Tolone, che gestisce il locale. “Ognuno dei soci ha una quota e ci autogestiamo: abbiamo fatto in modo di dividerci i compiti. C’è un direttore di sala, un gestore, un cameriere, un cuoco e, ovviamente, il presidente.” Il presidente non sta seduto su una scrivania, è uno dei camerieri che serve ai tavoli.
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