Inferno a Roma: storie e leggende del quartiere Coppedè


Esoterismo, occultismo, leggende metropolitane e architetti massoni. Un viaggio misterioso – a cura di Laura Fonatana – per scoprire i segreti del quartiere Coppedè a Roma

Il Quartiere Coppedè, a dispetto del nome, non è un vero e proprio quartiere di Roma ma un complesso di edifici parecchio bizzarro situato nel quartiere Trieste, a ridosso dei Parioli. Un frammento di città completamente diverso dal resto, una dimensione parallela che appare al visitatore solo sfiorata dai drammi quotidiani e volgari di Roma: il traffico, le macchine in doppia fila, la monnezza.

Gli edifici hanno nomi che sembrano presi da una saga fantasy – Villini delle Fate, Palazzo del Ragno, Fontana delle Rane – tutti decorati con sculture di animali mitologici, simboli dello zodiaco, creature zoomorfe, araldiche e stemmi, lampadari in ferro battuto, enigmatici motti danteschi. Insomma, un luogo con un’iconografia potente, ma pure poco chiara.

La prima domanda che in effetti si fa il visitatore vagando con il naso all’insù è: “Che cosa significa?”. D’altronde i simboli rappresentano contenuti che faticano ad arrivare alla coscienza e per decifrarli occorre un contesto: ad esempio, tutti bene o male sappiamo riconoscere la simbologia di una chiesa cattolica. Ma le rane messe ad ornamento di una fontana? Significano qualcosa? E perché le troviamo tanto inquietanti?

A Roma, l’atmosfera particolare del Coppedè ha generato una serie di leggende metropolitane, nate col passaparola e perpetuate attraverso il web. Prima tra tutte, la convinzione che Gino Coppedè, l’architetto che ha progettato l’area, sia stato un massone dedito all’occultismo e che quindi il non-quartiere sia un percorso iniziatico. Provate a cercare su Google, e uscirà una lunga lista di cose tipo “Visita esoterica a Coppedè”, “Mistero ed esoterismo nel cuore di Roma”, “Una passeggiata esoterica nella Capitale” eccetera.

La biografia ufficiale, come al solito, mette a tacere il Dan Brown che è in noi: Gino Coppedè, architetto nato a Firenze nel 1866, non è mai stato ufficialmente iscritto a nessuna loggia. Il suo gusto però è stato ispirato da una serie di figure che hanno influenzato il suo modo di concepire l’architettura, primo tra tutti il padre ebanista con una particolare predilezione per gli ornamenti esageratamente elaborati. E poi c’è lo studio e l’amore per Brunelleschi, lo stile Liberty, il manierismo. Era cioè un tipo esuberante, sognatore ed eclettico, anche se non si capisce se solo nel campo dell’architettura o perché davvero un po’ matto.

L’influenza decisiva (e la svolta per la sua carriera) arrivò da Evan MacKanzie, fiduciario genovese dei Lloyds di Londra, studioso e collezionista di testi danteschi, insomma un amante della Divina Commedia; e che cos’è la Commedia se non un percorso d’ascesa verso un’illuminazione superiore? In questo senso, è quindi probabile che il quartiere Coppedè non sia un vero e proprio “progetto occulto”, ma un tributo ai percorsi iniziatici e all’affascinante estetica della simbologia esoterica. Era d’altronde una passione comune ad altri architetti di inizi Novecento come Armando Brasini, che in progetti come Villa Brasini a Ponte Milvio e il complesso del Buon Pastore (sempre a Roma) ricorda da vicino le atmosfere dello stesso Quartiere Coppedè.

Reso il nostro tributo alle fonti ufficiali, possiamo pure – con consapevolezza – lanciarci nelle interpretazioni più fantasiose e lasciar finalmente sfogare le nostre esigenze cospiratorie. Partiamo per esempio dall’ingresso ufficiale al quartiere, un arco sospeso tra due torri, da cui pende un enorme lampadario in ferro battuto. Non c’è sito complottistico che non lo paragoni all’ingresso del Tempio di Salomone, leggendario edificio biblico che avrebbe ispirato il Fulcanelli del classico alchemico Il mistero delle Cattedrali. Quello che è certo è che tra le decorazioni dell’arco spicca un immoto volto della Minerva, una Vittoria Alata e se non bastasse anche la rappresentazione di quello che sembra un Santo Graal.

Percorrendo via Dora si arriva alla già citata Fontana delle Rane, dove alcune giovani figure umane dalle guance gonfie spruzzano acqua dalla bocca e sorreggono sulle spalle delle conchiglie, su cui siedono le rane che danno il nome alla fontana. Molti la contrappongono a un’altra fontana, quella “delle tartarughe” che si trova nel Ghetto di Roma. Perché? Possiamo solo immaginarlo: sia la tartaruga che la rana sono animali dall’aspetto primordiale che compaiono spesso nei miti e nelle favole, ed entrambe simboleggiano un collegamento tra due mondi, quello terrestre e quelle acquatico. La tartaruga però ha in genere una connotazione positiva (non a caso è l’animale buono che in IT di Stephen King simboleggia la stabilità dell’universo), mentre la rana viene perlopiù associata a contesti oscuri, descritta come amica domestica delle streghe insieme ai gatti neri e alle civette.

Articolo a cura di Laura Fontana, continua a leggere su The Towner

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