La figura dell’artigiano alla mastro Geppetto è una caricatura sorpassata. Il futuro artigiano è tecnologico, preferisce definirsi “maker”, e unendo tradizione e tecnologia può portare l’innovazione nel made in Italy
La trasformazione dell’artigianato passa attraverso la tecnologia e i “maker” (parola inglese che significa creatori), nuove figure di artigiani digitali che combinano il fare manuale con le tecnologie più attuali.
Dare un nuovo valore alle competenze artigiane attraverso la tecnologia per attivare dinamiche di crescita originali: questa è una delle scommesse per il futuro dell’economia italiana sostenuta da Stefano Micelli, docente di economia e gestione delle imprese all’università Ca’ Foscari di Venezia, nel suo libro Futuro artigiano del 2014, grande successo editoriale oggi alla terza edizione.
Cos’è il futuro artigiano
Il libro espone la teoria che l’artigianato è l’uovo di Colombo per la crescita italiana. Micelli propone la virtuosa contaminazione tra lavoro artigiano e l’economia globale e la necessità di una “osmosi tecnica”, cioè il mescolare le abilità artigianali con le competenze industriali per uno sviluppo economico sostenibile per il futuro.
Per molti anni l’artigianato e le professioni manuali sono state considerate come un retaggio del passato e che invece solo la ricerca tecnologica potesse condurci a disegnare il futuro. In realtà è l’unione, anziché la contrapposizione, dei due mondi a poter essere un potente acceleratore di innovazione, la chiave di volta di un cambiamento di rotta.
Oltre a rappresentare una grande risorsa, il mestiere dell’artigiano, secondo l’autore, è anche una scelta di vita appagante e da valorizzare.
I maker, nuove figure di artigiani evoluti
Produrre, riparare, riciclare oggetti fa parte della filosofia dei maker. Dal 2012 il movimento di questi artigiani che utilizzano le ultime tecnologie, fenomeno che si è sviluppato in molti paesi industrializzati, ha fatto la sua comparsa a Milano durante la Design week in più luoghi e con molteplici proposte di gruppi e associazioni che vogliono dare una forma concreta a questa realtà in crescita.
“L’Italia è già la patria dei maker – afferma Micelli –, il problema è che non lo abbiamo realizzato. L’artigiano innova attraverso gli strumenti del suo lavoro, nuovi materiali e modi di lavorare. Il lavoro artigiano non è custodire acriticamente il passato, ma rinnovarsi nel tempo e accettare la sfida della tecnologia.
Dire che siamo già il paese dei maker vuol dire scommettere sulla rete e sulle nuove tecnologie in generale. Significa dire che i nostri artigiani sono i protagonisti di una nuova rivoluzione industriale centrata su una diversa idea di lavoro e di valore”.
Capacità manuale e conoscenza tecnologica
Coniugare grande qualità e capacità manifatturiera artigianale con conoscenza, o “know how” in inglese, delle tecnologie e processi di produzione industriale è anche nel dna delle nostre piccole e medie imprese, di quelle tipiche “fabbriche” che hanno creato il fenomeno del design italiano tanto apprezzato nel mondo.
“L’immenso patrimonio di pratiche e di cultura che caratterizza la nostra manifattura deve essere riabilitato e considerato come parte essenziale del nostro futuro economico”, aggiunge Micelli. “Oggi il successo italiano arride alle industrie della cultura materiale, quelle che si nutrono dei nostri saperi antichi e del nostro gusto.
In questo senso l’Italia è una miniera di opportunità, a condizione di saper raccontare al mondo ciò di cui siamo capaci. Ci sono grandi opportunità per coloro che sapranno mettere insieme il saper fare italiano e una comunicazione innovativa, soprattutto grazie alle nuove tecnologie”.
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