Dove venivano girati i primi film del cinema muto? Nei teatri di posa, antenati dei moderni stabilimenti cinematografici. Erano delle strutture in legno, ferro e vetro, somiglianti a grandi teatri rudimentali dove la luce solare era fatta filtrare attraverso i vetri. Per le scene dei film girate in studio, le luci delle macchine artificiali dell’epoca non erano abbastanza potenti ed era necessario quindi il contributo della luce solare. Queste strutture venivano utilizzate soprattutto nel periodo compreso tra il 1910 e il 1920.
Il primo regista a girare film in un teatro di posa fu George Méliès, inventore del genere fantascientifico inaugurato con il film “Viaggio nella luna” (1902), adattamento del romanzo di Jules Verne. Il cinema di Méliès era caratterizzato soprattutto da fantasmagorie, trucchi da prestigiatore, uso di scenografie. Era un teatro dove poteva succedere di tutto e dove lo spettatore veniva ammaliato da magie e diavolerie.
I teatri di posa si diffusero in tutto il mondo, anche in Italia. Tra le città italiane che ne fecero maggior uso ricordiamo Torino e Roma. Sarà soprattutto nella capitale e precisamente nei teatri di posa della più importante casa di produzione romana, la Cines, che la settima arte rinascerà attraverso il genere del film storico. Verranno alla luce grandi capolavori come “Cabiria” di Giovanni Pastrone o “Ercole” di Enrico Guazzoni. Anche il cinema delle avanguardie troverà nei teatri di posa romani il suo terreno fertile. L’uso delle scenografie e la sperimentazione della fotodinamica, da parte del regista Anton Giulio Bragaglia, contribuiranno a fondere il linguaggio dinamico e innovativo del Futurismo e del Dadaismo con il linguaggio poliespressivo del cinematografo. Senza i teatri di posa, arte e cinema non si sarebbero mai potuti integrare a vicenda.
Il cinema delle origini non faceva uso di grandi effetti speciali. I suoi punti di forza erano la sceneggiatura, spesso caratterizzata da grandi narrazioni, o il montaggio. Questo veniva utilizzato soprattutto dai registi sovietici, come Ejzenštein che attraverso il montaggio delle attrazioni riusciva ad entrare nella corteccia cerebrale dello spettatore facendogli prendere coscienza dell’importanza della lotta di classe.
Per futuristi, dadaisti ed espressionisti il teatro di posa era l’atelier dell’artista. Era il luogo deputato alla nascita dell’opera d’arte e del film. Nelle rappresentazioni delle grandi scene di massa erano importanti i costumi, motivo per cui spesso nei teatri c’erano laboratori di sartoria, camerini per gli attori e per il trucco. Il teatro di posa rappresentava e ripeteva la vita per continuarla.
Per i registi delle avanguardie lo spettatore doveva diventare il protagonista principale dell’opera d’arte, doveva essere consapevole dell’evoluzione e dei cambiamenti che avvenivano intorno a lui. Con i film della Nuova Oggettività e le pellicole espressioniste cominciava a delinearsi l’inizio della poetica neorealista. Pabst, il padre della Nuova Oggettività, portò lo spettatore a conoscere il dramma della guerra filmando mendicanti, barboni, diseredati in prossimità di macerie e rovine.
La macchina da presa filmava il sottomondo dei bassifondi tedeschi narrando la vita di ladri, assassini e prostitute. Il cinema espressionista tendeva invece a rappresentare maggiormente il disagio interiore del popolo tedesco prima dell’avvento di Hitler e del Nazismo. Il colore nero delle scenografie stilizzate e le inquadrature sghembe rappresentavano l’angoscia e le paure causate dal dilagare del totalitarismo nazista. Il Surrealismo invece rappresentava nelle pellicole i segreti e l’irrazionalità-razionalità dell’inconscio, dal momento che solo attraverso l’analisi dei meccanismi dell’inconscio era possibile capire la vera essenza della natura umana. L’uomo deve dare sempre più spazio alle molteplici forme della propria creatività attraverso la reciproca unione di arte e cinema, attraverso molteplici modi, materiali o mezzi.
Per approfondire il mondo del cinema delle origini invitiamo a leggere i saggi “Teatri di posa a Roma nei primi anni del ‘900” e “Avanguardie degli anni ’20 nel cinema e nell’arte” di Piermarco Parracciani, entrambi editi da Lithos nel 2014.