In occasione del 27 gennaio, Giornata della Memoria degli orrori nazisti, ricordiamo le videcende del Ghetto, uno dei luoghi di Roma più legati al saper fare
La Memoria è l’unico antidoto agli orrori del passato, perciò in questo 27 gennaio, anniversario della liberazione di Auschwitz, vogliamo dedicare qualche parola sulle vicissitudini del Ghetto di Roma che ha subito in maniera pesante le persecuzioni del nazifascismo.
Il Ghetto nasceva nel 1555 su iniziativa di papa Paolo IV, nell’ambito della Controriforma e rimase racchiuso da mura fino al 1848 quando papa Pio IX ordinò la demolizione di ogni recinzione.
Con l’avvento del Regno d’Italia poi decadeva ogni tipo di segregazione confessionale, regalandoci il Ghetto come lo conosciamo oggi: un luogo dove il saper fare è di casa.
I vicoli caratteristici del ghetto sono luoghi dove si affollano botteghe artigiane e dove si sentono gli odori della meravigliosa cucina giudaico-romanesca.
La comunità ebraica di Roma, presente fin dai tempi dell’Impero Romano, è parte del DNA artigiano dell’Urbe. Poi arrivano gli orrori del totalitarismo, delle leggi razziali e infine, sabato 16 ottobre 1943, in piena occupazione nazista, arriva il colpo più duro.
Dopo aver estorto l’oro all’intera comunità con la promessa di garantirne l’incolumità, gli uomini di Herbert Kappler rastrellano 2091 persone.
Di queste sopravvivranno 72 uomini e 28 donne, nessuno dei bambini.
E’ incredibile pensare come dopo una simile strage, dopo un orrore tale, il ghetto sia riuscito lentamente a rinascere e a tornare un luogo dove incontrare vitalità e bellezza.
Oggi ne conosciamo i ristoranti rinomati, i forni e le altre bellissime tradizioni che ne fanno uno dei Rioni più amati di Roma, ma è importante in questo giorno (e in ogni altro giorno) ricordare le cicatrici lasciate dalla follia umana su questo luogo.
Ricordare, udire le testimonianze e coltivare la Memoria è l’unico modo di non sprofondare nello stesso abisso.