(Anche Fornaia, Fornara e Fornaro). Colui che per mestiere preparava il pane, lo cuoceva e lo vendeva. Le persone addette al forno erano: il ministro, il sotto-ministro, l’infornatore, l’impastatore, l’aiuto, il cascherino, il ragazzo.
Scrive Umberto Forti che “gli antichi romani erano stati maestri nell’arte della panificazione ottenendo – a quanto è possibile giudicare anche dai rapporti ponderali tra la farina impiegata e il pane ottenuto un prodotto non dissimile dai nostri migliori, ma in Italia l’arte del forno non si sviluppò come in Germania, durante il Medioevo”. Ed ecco perché nei maggiori centri della penisola, a Roma come a Venezia, numerosi forni erano tenuti dai tedeschi, come osserva il monaco domenicano Felice Fabri.
“L’Italia, il più famoso paese del mondo in cui il grano è abbondantissimo – scrive Felice Fabri (1502) – non produce pane così delicato, gustoso e perfetto come quello che fanno i fornai tedeschi, i quali sono maestri nell’arte di domare il fuoco, temperare il calore, trattare la farina, in modo che il pane riesce estremamente leggero, fine e delicato; mentre se lo stesso pane è fatto da italiani riesce duro, pesante, non uniforme, e insipido. Perciò Sua Santità, i prelati, i re, i principi, e tutti i signori ben difficilmente mangiano pane che non sia fatto alla maniera tedesca. E i tedeschi non solo fanno bene il pane comune, ma preparano ottimamente il biscotto per uso delle navi e delle armate, tanto che i Veneziani hanno solo lavoranti tedeschi nei loro forni pubblici, e il loro biscotto viene poi spedito ovunque, in Dalmazia, Macedonia, Grecia, Siria, Egitto, Libia, Mauritania, Spagna, Francia, e anche nelle isole Orkney, in Inghilterra, ove i marinai lo usano per i loro viaggi, o lo vendono ad altri paesi”.
Ricorda Tomaso Garzoni (1589) che “se non mente Plinio, i Romani stettero senza fornari comuni cinquecentottanta anni, fino alla guerra di Persia, attendendo le donne nelle case a questo esercizio, ma non stettero però senza l’arte la quale è antichissima. È arte ancora di commodo guadagno, e di commoda politezza, sforzandosi ognuno, e massime le donne con quelle braccia ignude menarlo in modo, e comporlo, che la bottega loro sia piena di concorso, sopra tutte le altre. Ricerca parimente quest’arte non picciola intelligenza, perciocché sa di mestiero, che i fornari s’intendano e abbiano cognizione e pratica non mediocre dei frumenti, sapendo i paesi dove son nati, acciò facciano meglior farina che possibile sia”.
La Confraternita dei fornai tedeschi sorse a Roma nel 1487; quella dei fornai nel 1507. Era dedicata a S. Maria di Loreto. L’Università romana del 1600 era composta da fornari, ciambellari e tagliolinari.
Tra il 1516 ed il 1675 esistevano oltre duecento disposizioni che regolavano il lavoro dei fornai. Verso il 1600 i fornai potevano essere bajoccanti e decinanti. Il pane a bajocco – ricorda Antonio Martini (1965) – aveva sempre il prezzo di cui portava l’attributo ed era consumato dalla popolazione più povera. I fornai decinanti vendevano il pane a peso, variandone il prezzo a seconda del prezzo del grano. Confezionavano un prodotto più fine e meglio lavorato che veniva detto appunto “pane a decina” o pane bianco. Traeva la sua denominazione dalla “decina”, unità di peso, formata da 10 libbre, corrispondente a kg 3,39 circa.
Verso il 1782, esisteva una disposizione secondo la quale i fornari dovevano apporre un “merco” o marchio di fabbrica al loro prodotto. Le incisioni e i disegni che talora oggi compaiono su alcuni tipi di pane a Roma – specialmente lo sfilatino – possono apparire motivi ornamentali apposti a capriccio del fornaio. In effetti, traggono la loro origine da quella antica disposizione del “merco”.
Annota Giggi Zanazzo (1907) che anticamente il numero dei forni era fissato e chiuso; non tutti i fornai erano autorizzati a fare le pagnottelle, i semolini ed i panetti. Ogni forno era contraddistinto da un proprio numero, che doveva stare attaccato al muro in modo che tutti lo vedessero.
In tempi ancora più remoti si poteva notare che alcuni fornai avevano – collocata in un angolo della bottega – un’alabarda. Infatti, ogni forno aveva diritto alla presenza di uno “Svizzero” (soldato del papa) munito di alabarda per incutere timore a chi partecipava ai tumulti stradali in seguito a una carestia. Da questa consuetudine nacque il modo di dire “appoggiata l’alabarda” per indicare chi fissa la propria permanenza a spese di altri.
Documentazione ripresa da “Antichi mestieri di Roma. Un viaggio affascinante nel cuore della città tra artigiani, botteghe e venditori ambulanti alla riscoperta di curiosità, segreti e ambienti caratteristici di una vita urbana in gran parte scomparsa”, Mario La Stella, Newton Compton Editori (1982)
Ente fornitore dell’immagine: Circolo Fotografico Rivalta
Per approfondire:
http://www.homolaicus.com/storia/locale/pane/forni.htm