(Anche Cappellaia e Cappellaro). Colui che faceva e vendeva berretti e cappelli. Il cappellaio riparava o ripuliva o rinfrescava, anche, i cappelli. Anticamente era, anche, colui che nella caccia col falcone aveva per ufficio di mettere o legare, secondo le necessità, il cappello allo sparviero.
«L’andamento del commercio delle cappellerie – si legge in una indagine condotta dalla Camera di Commercio di Roma, nell’anno 1935 – è stato particolarmente influenzato dalla moda del “capo scoperto” che, già introdottasi in periodi di floridezza o almeno di apparente floridezza economica, si è andata sempre più estendendo con l’aggravarsi delle contingenze economiche. Si aggiunga ancora che nelle nostre condizioni di vita e di clima il cappello rappresenta nell’abbigliamento un “capo” non sempre indispensabile, e di cui in ogni caso la necessità di rinnovamento è di gran lunga inferiore a quella della biancheria, dell’abito, delle calzature. Va tenuto ancora conto del tramontare dell’uso del cappello di paglia, che invano si è tentato di ravvivare con larghe iniziative propagandistiche – e del diffondersi dell’uso del “basco” – articolo che solo da pochi anni è stato introdotto, per necessità di cose, nel commercio delle cappellerie per uomo – mentre prima era venduto esclusivamente dalle modisterie e dai negozi di articoli di abbigliamento misto.
Rimane peraltro il fatto che il basco è un articolo “povero” e che certo la vendita di un basco non può compensare la mancata vendita di un cappello. Un indice dell’anormale andamento del commercio delle cappellerie si ha nel continuo decrescere del numero dei negozi, dal 1929 in poi, sia come numero assoluto, sia in rapporto al numero degli abitanti. Nel 1929 il commercio dei cappelli era esercitato (a Roma) da 145 ditte che gestivano 160 negozi. Nel 1932 – nonostante che fossero sorte nel frattempo 26 nuove ditte con altrettanti negozi – agivano nella piazza 118 ditte con 130 negozi. Nel 1934 – (per quanto questa annata sia al di fuori dei limiti del presente studio, riteniamo utile l’accenno quale termine di rapporto) nonostante l’apertura, tra il 1933 ed il 1934, di 22 nuove cappellerie – il numero complessivo dei negozi è diminuito a 115, ripartiti tra 104 ditte. Per una esatta valutazione di questi dati è però doveroso avvertire che alla diminuzione del numero dei negozi specializzati, ha corrisposto nelle stesse annate un notevole incremento della vendita della cappelleria da uomo (specie di quella di tipo scadente) da parte dei grandi empori di merci varie e dei magazzini di abbigliamento per uomo».
In effetti, almeno fino alla fine della prima guerra mondiale (1918) il cappello era indispensabile all’uomo – a qualunque ceto sociale egli appartenesse – allo stesso modo delle scarpe. Finanche agli scioperi ed ai moti di piazza – quando era facile che il cappello cadesse o andasse perduto – uomini e ragazzi partecipavano con il cappello in testa. Non togliersi il cappello per salutare era giudicato un atto di maleducazione e, in alcuni casi, di provocazione.
Documentazione ripresa da “Antichi mestieri di Roma. Un viaggio affascinante nel cuore della città tra artigiani, botteghe e venditori ambulanti alla riscoperta di curiosità, segreti e ambienti caratteristici di una vita urbana in gran parte scomparsa”, Mario La Stella, Newton Compton Editori (1982)
Ente fornitore delle immagini: Olycom S.p.A.
Per approfondire:
http://www.neg-oziando.it/dio-salvi-il-cappello-negozi-di-cappelli-a-roma/