«Boxe Capitale», pugni, cuore e duelli di borgata


Il lungometraggio girato da Roberto Palma ripercorre la storia del pugilato romano tra interviste, aneddoti e testimonianze dei protagonisti: una storia centenaria tra grandi sfide e duelli di quartiere che raccontano l’anima fantasiosa del boxeur capitolino

Una radiografia dell’anima, nella sfida con se stessi prima che con il rivale. È un affresco denso di flashback, molti dei quali rivissuti dai protagonisti, il docufilm Boxe Capitale, per la regia di Roberto Palma.

l lungometraggio — prodotto da Magda Film e presentato nei giorni scorsi al Nuovo Cinema Aquila e poi all’Apollo 11 — ripercorre la storia ultracentenaria del pugilato capitolino, che condivide più di una caratteristica con il Dna deicives romani: tigna, fantasia e un pizzico di strafottenza.

Il racconto inanella interviste, immagini di repertorio e uno sguardo al presente che se da un lato registra 156 scuole iscritte alla Federazione, dall’altro si apre al sociale (la palestra Traino Boxe di Fiumicino sogna di portare alle Paralimpiadi i propri atleti diversamente abili).

L’aneddotica restituisce l’immagine del pugile romano come beniamino di quartiere, protagonista di sfide memorabili con nutrite tifoserie al seguito

«Il film nasce dalla passione per questo sport, per seguire i match in tivù mi sveglio alle 5 — rivela il regista — . Del pugilato mi affascina che sei da solo, a differenza del calcio in cui se giochi male la squadra corre per te». Chiave di lettura che prelude a un’altra riflessione: «Il pugile è un rocker, ha bisogno di esprimere se stesso. Credo che la boxe sia uno strumento di riscatto personale, prima ancora che sociale».

L’atmosfera dei sottoscala, «il profumo del sudore che entra nelle vene e non lo scordi più», traspaiono da luoghi ormai intrisi di mito come la palestra Audace in via Frangipane, alle spalle del Colosseo, fondata nel 1901. Lungo il corridoio, utilizzato per il riscaldamento, spiccano centinaia di foto in bianco e nero dei pugili che qui si sono allenati e ne hanno portato i colori (bianco e rosso). Nelle teche di vetro sono invece conservati i numerosi trofei vinti dal club.

«Erano derby sanguigni… Quando io, che ero dell’Alessandrino, avevo come avversario uno del Quadraro sembravamo due cani al guinzaglio».

L’aneddotica restituisce l’immagine del pugile romano come beniamino di quartiere, protagonista di sfide memorabili con nutrite tifoserie al seguito.

Dagli annali ecco spuntare il ricordo di uno degli incontri più seguiti di sempre, nel 1933, tra Primo Carnera e lo spagnolo Paulino Uzcudun in piazza di Siena davanti a un pubblico di 70 mila spettatori. Con l’Olimpiade del Sessanta il Palazzetto al Flaminio diventa il tempio della boxe. I match del venerdì ripropongono spesso i duelli di borgata, come racconta Luciano Sordini: «Erano derby sanguigni… Quando io, che ero dell’Alessandrino, avevo come avversario uno del Quadraro sembravamo due cani al guinzaglio».

Tra gli altri Daniele Petrucci, di San Basilio, «ribattezzato “Bucetto” perché da piccolo avevo una certa fortuna», incarna l’essenza del pugile di quartiere. Il tratto distintivo? «Devi avere cuore ed essere umile».

Fonte: Roma Corriere

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