A Ponte Mammolo l’ultimo gigantesco murales dello street artist Blu


Nel lusso o nella melma. L’immagine satirica del destino secondo il grande street artist Blu. La sua ultima opera, dal titolo Càpita, è stata realizzata nel quartiere popolare di Ponte Mammolo con il contributo dei cittadini

L’infernale luna park di Blu si erge tra le palazzine popolari de quartiere Ponte Mammolo, in zona Rebibbia, lungo via Ciciliano. Imponente, svettante, colori squillanti e un segno così riconoscibile, nella combinazione solita tra iconografie fantastiche, rimandi crudi all’attualità e avventure cerebrali.

Una nuova quinta monumentale, che va ad aggiungersi all’immenso teatro capitolino intitolato alla Street Art. Tra i muri migliori di Roma, quelli di Blu. Non per niente, con la sua abilità tecnica, la forza di certi temi e la radicalità di un approccio anti-mainstream e non commerciale (cosa ormai rara), l’anonimo street artist è una star internazionale.

Il significato dell’opera

Quest’ultima prova è un esempio di satira apparentemente giocosa, ma gonfia di inquietudine. Una scena sinistra, un baccanale ludico che incarna l’idea del caso o forse del destino. “Càpita” è un gigantesco toboga, un groviglio di tubi e scivoli, un intestino, un guazzabuglio idraulico, un indistricabile immagine della follia e del caos. L’esercito di omini tutti uguali, incagliato tra le spire colorate, è una delle grandi metafore visionarie a cui Blu ricorre per i suoi murales. L’umanità in balia di ciò che potrebbe ‘capitare’: al termine c’è una fogna, maleodorante e scura, oppure una splendida piscina in cui trovarsi in panciolle, tra banconote e cocktail, spaparanzati al sole. La melma e l’acqua cristallina, il lusso e la miseria. Dove finiranno i piccoli personaggi grigi, livellati dalla comune esposizione al fato, qualcuno baciato dalla sorte, qualcun altro destinato al tormento?

La giostra sfavillante di Blu è una macchina che strangola, incombe, racconta l’orrore nella forma del più ameno degli show. Non una rappresentazione escatologica dei puniti e dei salvati, dei cattivi all’Inferno e dei prescelti in Paradiso. Semmai, la rappresentazione apocalittica dell’ingiustizia: chi conosce il benessere e chi no; chi arranca fra le sabbie mobili, infilzato dai forconi di un manipolo di aguzzini, e chi si gode la pacchia. Perché così capita. Di qua o di là. L’equità sociale è lontana, la distribuzione delle chance, dei diritti, delle risorse, non conosce equilibrio. E la logica di quel giocattolone arcobaleno resta oscura.

“Càpita” nasce ancora una volta grazie al sodalizio di Blu con il comitato di quartiere Mammut: nel 2015, su due palazzine di Casal de’ Pazzi, zona urbanistica che si estende principalmente lungo Ponte Mammolo, avevano visto la luce altri due grandi murales, totalmente autogestiti, promossi e sostenuti da quel gruppo di residenti. Uno, con le stesse cromie accese di quest’ultimo, metteva in scena un gigantesco rampicante, stagliato contro un cielo azzurro: un corpo vegetale che agguantava la parete, generando un paesaggio dai tratti surrealisti; l’altro illustrava la storia del pianeta Terra, lungo gli anelli concentrici di un vertiginoso gorgo, tra dinosauri, rettili, creature animali e vegetali, ominidi, uomini e poi le piramidi, i templi classici, il Colosseo, le grandiose architetture civili e religiose, fino alla dissoluzione e alla stagione tragica dei crolli.

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