Storia della lavorazione artistica dell’oro a Roma


Nei secoli scorsi l’oreficeria è sempre stata molto florida a Roma, soprattutto grazie alla diffusa presenza di chiese e della corte papale. In alcuni periodi storici ebbe però una particolare fortuna. Qui ripercorriamo le vicende storiche di questa antica arte pubblicando un estratto dal libro “Mestieri e botteghe nel cuore di Roma” di Paola Staccioli e Stefano Nespoli

Lo sfarzo imperante nel Cinque-Seicento diede ad esempio un forte impulso all’attività, la cui committenza era rappresentata essenzialmente dalle alte gerarchie ecclesiastiche e dalle famiglie nobili. La produzione romana – realizzata anche da valenti maestranze “straniere” operanti nella città, in particolare toscane e lombarde – fu ovviamente indirizzata in notevole misura verso oggetti sacri e rituali, incrementandosi quindi in occasione di particolari eventi quali gli Anni Santi.

Nella Roma dei secoli scorsi orefici e argentieri erano concentrati in via del Pellegrino. Nel 1680 per questi artigiani-artisti divenne addirittura un obbligo, imposto dalle autorità, quello di «habitare ed havere le botteghe nel Pellegrino e vicoli annessi». Il provvedimento suscitò però una serie di proteste, e alcuni orafi inviarono al papa una supplica, nella quale chiedevano di non essere «tanto aggravati nella mutatione dell’habitatione dalle gravezze di nove pigioni esorbitante nelle case del Pellegrino», sottolineando che non vi si recavano «di lor spontanea volontà ma per obedire prontamente alla S.tà V.ra», e chiedendo che «almeno i più bisognosi e poverelli siano esentati d’andar ad habitare in detta strada».

Gli orefici, inizialmente organizzati in una corporazione che comprendeva anche ferrari e sellari, nel 1508 fondarono una propria università, alla quale aderirono gli altri lavoranti di metalli e pietre preziose. Una regolamentazione scritta dell’attività si trova già negli Statuti di Roma del 1358, nei quali si stabiliva per l’argento un “punzone” di garanzia, cioè un bollo. Forme più severe di controllo si ebbero però solo dagli inizi del Cinquecento. Da allora orefici e argentieri furono obbligati ad apporre su tutti gli oggetti prodotti una bollatura del titolo, controllata poi da una commissione chiamata a individuare le contraffazioni, e valutare, oltre alla qualità delle opere, anche l’abilità degli aspiranti maestri orafi, nella prova che si svolgeva dopo un tirocinio a Roma di almeno tre anni.

Nella Roma dei secoli scorsi orefici e argentieri erano concentrati in via del Pellegrino. Nel 1680 per questi artigiani-artisti divenne addirittura un obbligo, imposto dalle autorità, quello di «habitare ed havere le botteghe nel Pellegrino e vicoli annessi»

Ogni orefice aveva un proprio “segno”, impresso su una placchetta. Gli originali, registrati e depositati, si trovano ancora oggi nell’Archivio di Sant’Eligio, insieme ad altri documenti di antichi orafi e argentieri romani. Le alte gerarchie ecclesiastiche garantivano però talvolta ai “loro” artigiani l’esenzione dalla bollatura, e quindi dalle tasse, circostanza che rende oggi difficile l’individuazione degli autori di alcune opere. Nelle fiorenti botteghe della città dei papi, dove abili maestri applicavano e rielaboravano i canoni impartiti dalle arti monumentali, giunsero anche celebri artisti o apprendisti del calibro dell’avventuroso e inquieto Benvenuto Cellini, il cui soggiorno romano è ricordato da una targa in largo Tassoni. Delle sue produzioni rimane però soltanto, a Vienna, una saliera realizzata per Francesco i.

Il problema della distruzione, nel tempo, delle opere di oreficeria è purtroppo molto diffuso, e riguarda principalmente gli oggetti profani, perché quelli cerimoniali, conservati in chiese e musei, hanno avuto in molti casi una sorte migliore. Quasi tutti i lavori appartenuti alle famiglie nobili sono andati persi, rifusi per il mutamento del gusto, riconvertiti in moneta, finiti nelle requisizioni eseguite durante il pontificato di Pio vi prima e l’occupazione delle truppe napoleoniche poi.

Tra le pregevoli testimonianze di orafi operanti a Roma si può ricordare la coppia di candelieri eseguita da Antonio Gentili su commissione del cardinale Alessandro Farnese e donata nel 1582 alla Basilica di San Pietro, dove si trova anche il grande medaglione in bronzo del monumento funebre di Cristina di Svezia, realizzato dal maestro argentiere Giardini. Dopo un periodo di decadenza, l’arte orafa romana ritrovò il suo splendore con il Liberty. Nella città operarono infatti artisti di rilievo quali Renato Brozzi, Duilio Cambellotti, Michele Guerrisi. Numerosi sono oggi a Roma i laboratori storici di orefici, gioiellieri e argentieri, che proseguono una tradizione familiare ultracentenaria, tramandata di generazione in generazione. Nei pressi di via Giulia, annessa alla piccola Chiesa di Sant’Eligio degli Orefici, è tuttora attiva l’Università e Nobil Collegio di Sant’Eligio. L’associazione, erede dello storico sodalizio di mestiere, organizza corsi, conferenze e premi per apprendisti.

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