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Centocelle anni 70: tra musica, borgata, politica e criminalità


Centocelle negli anni 70: tra musica, borgata, politica, criminalità e lotta armata. Un racconto a cura di Valerio Mattioli pubblicato sulla rivista online The Towner

Con un nome che da solo evoca scabre periferie pasoliniane, neorealismi tossicomani e storie di partigiani, borgatari & piccola criminalità, Centocelle più che un quartiere è un topos letterario: per decenni il suo nome è servito a evocare terre di frontiera in cui era meglio non mettere piede, popolate da un’umanità rude e poco raccomandabile, forse un pizzico pittoresca ma perennemente segnata dallo stigma della devianza e della marginalità.

Tra le borgate che affollano il quadrante est di Roma, Centocelle è in effetti la più grande e popolosa: una Dacia Maraini qualunque continuerebbe a dipingerla come una wasteland isolata dal mondo perché dal centro per arrivarci ti tocca prendere il tram, ma nella realtà Centocelle è oggi un “tranquillo” quartiere popolare certo sovraffollato (ed esteticamente pure un po’ bruttino), in cui si stanno persino insinuando i primi cenni di una gentrification data per molti come inevitabile. Sapete com’è, il Pigneto è ad appena quattro fermate di metro.

Piazza dei Mirti, 1980

È in questo quartierone di palazzacce a quattro-cinque piani tra via Casilina e via Prenestina, che alla fine degli anni ’70 una banda di adolescenti fissati col punk inaugurò la saga dei Centocelle City Rockers. Questa sigla io me la ricordo da quando ero ragazzino, e da allora continua incredibilmente a spuntare sui muri di mezza Capitale, ben oltre i confini di Roma Est. Gli appassionati di fumetto l’avranno intravista su qualche vignetta di Zerocalcare, ma prima ci aveva già pensato la coppia Stefano Tamburini/Tanino Liberatore a immortalarla in una dedica di Ranxerox sul primo numero di Frigidaire, e io – che a Centocelle ci sono cresciuto in un’epoca in cui quando parlavi di punk la gente pensava ai Green Day – mi sono chiesto per anni che cazzo significasse e quale storia ci fosse dietro. Infine, un giorno ho incontrato Luigi Bonanni, l’uomo che i Centocelle City Rockers li ha di fatto inventati (e che in seguito è diventato il cantante del gruppo Garçon Fatal). Mi sono fatto raccontare il come il quando e il perché, e questa è la sua storia

Da via dei Lauri alla Lubna del Magia: il racconto di Luigi Bonanni

Tra 1976 e 1977 avevo 15 anni, ero veramente un ragazzino. Abitavo a Centocelle che già non era più periferia estrema ma era pur sempre una specie di borgo, di cittadina separata dal resto di Roma:  all’epoca spostarsi era molto difficile, e tra un quartiere e l’altro non è che ci fossero molti contatti. Più tardi la stessa atmosfera l’ho ritrovata in posti come Primavalle, San Basilio, quartieri periferici con un’identità molto precisa ed estranea al contesto cittadino vero e proprio. In più, a Centocelle c’era questa particolarità che già a fine anni ’70 trovavi i bambini di colore, figli di immigrati, che parlavano romanesco: e questo ti faceva pensare più a Brixton che a un quartiere romano – almeno ai miei occhi…

Centocelle in uno scatto d’epoca

Esteticamente la Centocelle del 1977 non era molto diversa da quella che è adesso. I punti di ritrovo erano le tre piazze principali che scandiscono il lungo rettifilo di via dei Castani: e quindi piazza San Felice (dove Pasolini ha girato un pezzo di Accattone), poi piazza dei Mirti (dove invece furono girate alcune scene di Amore tossico) e soprattutto piazza dei Gerani. Poi c’erano le sedi dei collettivi e dei gruppi della sinistra extraparlamentare: Lotta Continua, Avanguardia Operaia, gli autonomi, gli anarchici, non mancava nessuno. C’era anche il Forte Prenestino (che fu occupato una prima volta proprio nel ’77) e un paio di covi delle Brigate Rosse: anche perché da Centocelle venivano brigatisti tipo Bruno Seghetti e Antonio Savasta, semplici ragazzi del quartiere che poi si diedero alla lotta armata. E fu una strada che intrapresero in tanti: non voglio dire che darsi alla lotta armata fosse “di moda”, però per tutto il quartiere si respirava un po’ quell’aria lì… Andavi a scuola con un tizio qualunque, ci passavi le giornate al bar, e a 19 anni te lo ritrovavi che era entrato in clandestinità.

La sera Centocelle si trasformava in una città-fantasma, nel senso che dopo le 21 scattava il coprifuoco e diventava difficile anche arrivare da una parte all’altra del quartiere. Un po’ per motivi politici – su via Casilina ti ritrovavi gli autoblindo coi sacchi di sale che presidiavano l’ingresso su via dei Castani – un po’ anche per le normali attività criminali che con la politica non avevano nulla a che fare. C’erano traffici illeciti di tutti i tipi: armi, droga… Credo anche che Centocelle sia uno dei pochi posti in cui la Banda della Magliana non riuscì mai ad affermarsi per davvero. Perché come dire, ci pensava già la criminalità autoctona, che bisogno c’era di gente che veniva da fuori?

Io ero un appassionato di musica già da piccolissimo, mi piacevano i primi gruppi beat e poi i Deep Purple, i Pink Floyd, i Led Zeppelin, insomma le cose che andavano per la maggiore negli anni ’70. Ma a quindici anni subii veramente una rivoluzione personale: c’era il fratello di un mio compagno di scuola che in casa aveva Rock N Roll Animal di Lou Reed, e quello da un giorno all’altro cambiò tutto. Dico proprio in termini di mentalità, atteggiamenti, modo di vestire… Poi mi capitò un numero di Gong, il mensile di musica, in cui si parlava di Ramones e Patti Smith e lì la mutazione fu completa.

La sera Centocelle si trasformava in una città-fantasma, nel senso che dopo le 21 scattava il coprifuoco e diventava difficile anche arrivare da una parte all’altra del quartiere.

Era anche un po’ la mia indole, eh? Nel senso che sono sempre stato un rompicoglioni, un anarcoide, uno a cui non piacciono le mode dominanti: basti dire che, in un quartiere in cui praticamente chiunque tifa Roma, io sono diventato della Lazio! Comunque: dopo Lou Reed cominciai ad appassionarmi alle cose più trasgressive, ai gruppi che si truccavano, a sonorità più diverse, insomma al punk. Che all’inizio era una cosa veramente artistica, anche a livello di immagine, estetica e tutto il resto. L’unico problema è che a Centocelle, di gente interessata a quelle cose, non ce n’era. Nel senso: da una parte c’erano i freak, i vecchi hippie e tutto il resto; dall’altra le comitive di quartiere che si ritrovavano col vespino davanti al baretto e che si ascoltavano Sabato pomeriggio di Claudio Baglioni. Quindi mi misi in cerca di qualche adepto: insomma di qualcuno di convertire al punk.

Nel mio palazzo c’erano due ragazzini più piccoli di me di circa un anno, che individuai subito come possibili compagni di strada (formammo anche un gruppo chiamato Bads, e uno di loro finì con me anche nei Garçon Fatal). Dopodiché cominciarono ad aggiungersi altri ragazzi, ma all’inizio eravamo veramente pochissimi, quattro o cinque in tutto. Il grande cambiamento arrivò a ottobre 1977, quando la Rai mandò in onda questo servizio – in una trasmissione chiamata Odeon – tutto dedicato al punk inglese. Credo che praticamente chiunque in Italia si occupi di punk, ti parlerà di questa trasmissione: fu uno shock, un evento scatenante, il primo momento in cui i ragazzini italiani capirono cos’era il punk. E anche a Centocelle, da quattro o cinque che eravamo fino a quel momento, improvvisamente diventammo quindici!

Il capolinea dei tram di piazza dei Gerani in uno scatto degli anni ’80

Il gruppo si ingrandì: in mezzo ci trovavi di tutto, compresi tizi che parevano più Anna Oxa che Sid Vicious, gente che nel punk si era tuffata per moda, o anche tipi che percepivano istintivamente di “sentirsi punk”, come questo nostro amico che poi sarebbe diventata una drag queen parecchio nota a Roma. Per farla breve: arrivavano questi sedicenni che fino al giorno prima non ti eri mai filato, ed eccoli lì coi pantaloni a tubo e la giacchetta nera, che provavano a fare i trasgressivi con noi. Poco tempo prima ci eravamo inventati questo nome, Centocelle Rock City, che in realtà veniva da un pezzo dei Kiss chiamato Detroit Rock City: a me i Kiss piacevano sempre per quel discorso lì, le maschere, i trucchi, il glam… Poi però quando i Clash pubblicarono Clash City Rockers, subito diventammo Centocelle City Rockers. Non era altro che una sigla, il nome di una banda, una specie di omaggio che ci facevamo da soli. Cominciammo a riempire di scritte via dei Lauri – che era la strada in cui ci incontravamo – e be’… La cosa non passò inosservata.

A Centocelle l’aria era pesante. Nel marzo del 1978 poi, il rapimento Moro peggiorò tutto e il quartiere di fatto venne militarizzato. Ma c’erano anche problemi tra noi giovani punk e i vecchi militanti della sinistra extraparlamentare. Specie all’inizio, non fu per niente semplice.

Gli alternativi del quartiere erano incuriositi da noi. Molti di questi erano freak che venivano dal tipico underground anni ’70, più grandi di noi di qualche anno, e che frequentavano gli stessi nostri bar – soprattutto il bar del Bocca, un personaggio incredibile con la barba tinta di verde e che si spostava su una Vespa gialla. Anche loro cominciavano a trasformarsi: i capelli da lunghi che erano si facevano sempre più corti, i giubbotti di renna vennero sostituiti dai giacchetti di pelle marrone e poi da quelli di pelle nera, qualcuno andava fino a Londra, qualcuno andava per negozi a rubarsi i dischi della new wave inglese che poi ci rivendeva a prezzo ridotto… Insomma, si venne a creare questa sinergia tra gli alternativi del quartiere, fino a quando lo stesso nome Centocelle City Rockers non cominciò a essere usato anche da chi, col nucleo originario di via dei Lauri, non c’entrava niente. A un certo punto ci fu anche una specie di fusione tra noi e un gruppo di Villa Gordiani, che di Centocelle è il quartiere confinante. E noi stessi cominciammo a spostarci.

A Centocelle l’aria era pesante. Nel marzo del 1978 poi, il rapimento Moro peggiorò tutto e il quartiere di fatto venne militarizzato. Ma c’erano anche problemi tra noi giovani punk e i vecchi militanti della sinistra extraparlamentare. Specie all’inizio, non fu per niente semplice. È difficile da spiegare… Dapprima, come dire, ci sopportarono: per loro eravamo poco più che dei ragazzini strani, quindici-sedicenni che andavano in giro con un lucchetto al collo e la giacca tagliata con le lamette e spruzzata di vernice, tutte cose molto naif.  Poi arrivarono le accuse di fascismo: adesso sembra assurdo, ma all’epoca se te ne andavi a spasso per la periferia di Roma con addosso un giubbotto di pelle nera anziché un eskimo, allora eri un fascista, poco da fare. Ed essere accusati di essere fascisti a Centocelle era mooolto pericoloso, credimi.

Non solo: oltre ai vecchi militanti della sinistra extraparlamentare, ce la dovevamo vedere pure coi coatti e i classici “pischelli di borgata”. Il nero, le borchie, le magliette tagliate, per loro erano un gesto inaccettabile, e quindi botte, risse, tensioni varie… Ho visto gente fermare la macchina e inveirci contro senza nessun motivo, tizi urlarci appresso “frociiiiii!” perché se ti vestivi strano allora eri omosessuale, cose di questo tipo. Gli davi fastidio semplicemente esistendo: la classica goccia d’inchiostro in un litro di latte.

All’inizio da Centocelle finimmo per rifugiarci poco lontano, e per la precisione al bar Apollo 11, che stava sulla Prenestina e che era frequentato da vecchi rocker, in mezzo c’erano anche tanti ex freak, e le cose cominciarono a mescolarsi. Nacquero i primi gruppi musicali – i Bads, gli Uglies, gli Urban Reportage – ma il gruppo originario cominciò anche a sfaldarsi: c’era chi era rimasto sotto con la droga, chi se ne era andato a Londra, chi era morto, chi era dovuto scappare da Roma per i soliti casini politici… A rimanere fu il nome: Centocelle City Rockers. Non so come né perché, ma la gente prese quella sigla e iniziò a usarla per la città: diciamo che raccolse la fiaccola. Era partito  come un gioco, ma in maniera strana si diffuse per tutta Roma.

Racconto a cura di Valerio Mattioli, continua a leggere su The Towner

 

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